mercoledì 22 agosto 2012

Il bisnonno di Marchionne

E così il “modello Pomigliano” sarà esportato in tutti gli stabilimenti Fiat. 

Triste anticipo di quello che ci aspetta.

E andando indietro negli anni la storia non cambia.

In questo caso andremo molto indietro.

Tanto indietro da risalire agli albori della Patria, la stessa di cui si è festeggiato il centocinquantesimo compleanno pochi mesi fa.

Per la precisione occorre tornare a 148 anni fa, al 1863.

E' il 6 agosto di quell'anno.

Non ci troviamo a Pomigliano, ma molto vicini. A 16 chilometri esatti in direzione sud-ovest, dice Google.

La località è quella di Pietrarsa, tra San Giorgio a Cremano e Portici.

Siamo nei pressi del Real opificio borbonico. 
Prima dell'unità era il più grande polo siderurgico della penisola.

I dipendenti erano circa mille. Lavoravano dieci ore al giorno, e furono i primi nell'Italia preunitaria ad avere diritto a una pensione.

Dopo lo stabilimento finì nelle mani di un certo Jacopo Bozza, un ex impiegato borbonico proprietario del quotidiano locale “La Patria” passato armi e bagagli dalla parte della stessa Italia unita che sino a poco prima aveva combattuto.

Le sue prime iniziative furono: licenziare, aumentare l'orario di lavoro e ridurre la paga.

Evidentemente anche allora l'obiettivo era quello di essere più competitivi und produttivi.

In quegli anni tal Carlo Bombrini, uomo molto vicino a Cavour, era direttore generale della Banca nazionale, il più grande istituto bancario italiano.

E' a lui che fu affidata la redazione del piano economico-finanziario per il neonato Regno d'Italia.

Ma il conflitto d'interessi l'Italia lo ha nel dna, sin dalla nascita. E Bombrini, oltre a dirigere la banca che aveva finanziato le guerre d'indipendenza, era anche uno dei fondatori dell'Ansaldo.

Fondata nel 1853 per interessamento diretto di Cavour, che intendeva limitare l'importazione di locomotori dal Regno delle Due Sicilie e dall'Inghilterra, l'Ansaldo con l'unità cominciò a sottrarre commesse allo stabilimento campano proprio grazie all'interessamento di Bombrini che, nel presentare il suo piano economico-finanziario, si lasciò sfuggire la frase: “I meridionali non dovranno più essere in grado di itraprendere”.

Un occupante più che un padre della Patria.

E' lui che suggerisce a  Bozza come muoversi.
E' lui che sposta le commesse da Pietrarsa all'Ansaldo. 
Ed è sempre lui a ordinare i licenziamenti e a fare in modo che i lavoratori si adeguino ai ritmi che pretende di imporre.

Il trentuno luglio del 1863 vengono notificati nuovi licenziamenti. Ma questa volta gli operai decidono di non andare via a capo chino con una lettera in mano.

Sono le tre del pomeriggio quando si sente il suono di una campana. E' il segnale.

Tutti lasciano il lavoro, si radunano in cortile e manifestano la propria rabbia.

Bozza evidentemente ha paura: non si aspettava una simile reazione.

Pare sia scappato. Altri dicono abbia mandato un suo uomo ad avvertire i gendarmi.

Fatto sta che poco dopo giungono sul posto i bersaglieri. Sparano e caricano con le baionette.

Sul terreno rimangono i corpi di cinque operai, ma c'è chi raccontò che altri due furono ammazzati mentre cercavano di fuggire via mare, a nuoto.

Fu la prima strage di lavoratori nell'Italia unita. Trentacinque anni dopo sarebbe toccato ai lavoratori di Milano, sfamati col piombo dal “feroce monarchico Bava”. Di quelli, per fortuna, qualcuno ancora si ricorda...

Oggi lo stabilimento di Pietrarsa è un museo. Fu chiuso nel 1975 dopo essere stato declassato a semplice officina di riparazione alla fine dell'Ottocento.

Probabilmente Marchionne, di passaggio da quelle parti, l'ha anche visitato.

Lui magari avrà pensato ai fasti del passato.
A tutti gli altri quelle pareti  ricordano invece che i successi di industriali e banchieri sono bagnati di sudore e spesso di sangue. Il nostro.


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