venerdì 27 dicembre 2019

Fulmicotone, il nuovo blog di Punco X


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venerdì 4 ottobre 2019

Matricola 011299


Mentre tutti gli uomini odiano il nuovo, solo i matti, i mattoidi e i pazzi morali o criminali-nati hanno per questo una speciale attrazione. […]

È la classe più alta, più ricca, più potente più istruita che dovrebbe dar l'esempio della ragionevolezza, della calma e della freddezza; senza ricorrere ciecamente, appena il pericolo si mostra, al terrore e alla ghigliottina che creano i martiri ed eccitano nel partito che si vorrebbe distruggere lo spirito di lotta e di resistenza. [...]

Invece l'invio al Manicomio di quanti sono epilettici o isterici sarebbe una misura più pratica. [...] Perché i martiri sono venerati; dei matti si ride — ed un uomo ridicolo non è mai pericoloso.

Cesare Lombroso, Gli anarchici, Fratelli Bocca, Torino, 1895.



Bologna, 14 novembre 2021

Di solito un acquazzone lo rilassava. Era come se la pioggia riuscisse a lavare via i cattivi pensieri e le ansie, ipnotizzato com’era dal ticchettio delle gocce che urtavano contro la finestra.

Oggi però è diverso. Paska cammina nervosamente per la stanza, si avvicina alla finestra, scosta la tenda e poi se ne allontana di botto. Non riesce a star fermo.

Quando Giulia bussa, è seduto alla scrivania, giocherella nervosamente con una penna.
“Entra pure” - dice.

La vede entrare: è bella come sempre, come quando l’aveva conosciuta tre anni prima. I lunghi dread le scendono fin sotto la schiena, a sfiorarle il sedere; gli occhi le brillano.

Lei si avvicina, posa la mano sulla sua: “Cosa ti preoccupa?” - domanda.

“Ho paura per Sasà...”

“Non sta reagendo bene?”

“Non lo so… Ha frequenti mal di testa… Crivelli è preoccupato, dice che il vissuto di Massarenti è estremamente traumatico. Se i suoi ricordi dovessero affiorare di botto, per Sasà potrebbe essere molto difficile dominarli. Secondo lui potrebbero sostituirsi ai suoi, e in quel caso non saprebbero come intervenire, perché i due dna sono ormai fusi.”

“Ma comincia a ricordare qualcosa di Massarenti?”

“Un cazzo! Per il momento solo mal di testa, sempre più violento. Ma della memoria di Massarenti non c’è traccia.”

“Ti senti in colpa, ve’?”

“Gliel’ho detto io a Sasà dell’esperimento. Troppa leggerezza... Abbiamo pensato solo ai duemila euro al mese che avrebbe preso, dovevamo pensare alle conseguenze...”

“Non ti preoccupare Paska… andrà bene...”

Bologna, 1 maggio 2021


“Siamo marea!!!” - urlarono dall’altoparlante sul furgoncino - “Facchini, drivers, operai della logistica e di ogni altro settore. Insegnanti, studenti, inservienti. Precari in lotta alla riconquista del futuro! Rivendichiamo un salario minimo di almeno 10 euro all’ora, reclamiamo una contrattazione nazionale per ogni settore. Ferie e malattie pagate per tutti e tutte, a prescindere dal contratto. Vogliamo un reddito minimo universale...”

Giunto davanti al McDonald’s di via Ugo Bassi il corteo si arrestò.

“Oggi le crew di questo ristorante, e i drivers che consegnano a casa il cibo, sono in sciopero. Oggi per loro non sarebbe stato un giorno di festa, come per tutte e tutti. Hanno deciso di riprenderselo. Hanno deciso di lottare per un salario e per condizioni di lavoro degne. Guardate quelle porte chiuse! Sono il simbolo dei lavoratori e delle lavoratrici che si riscattano, che scioperano in massa. Reddito, diritti e dignità per tutti e tutte!!!” - gridarono dall’amplificatore, poi partì a tutto volume un brano hip hop.

Paska e Sasà poggiarono per terra gli zaini termici di Glovo; stapparono una birra.

“Mi ha chiamato Degli Esposti, il professore con il quale ho fatto la tesi. – disse Paska – Dice che stanno per avviare un progetto di ricerca su Massarenti e vorrebbe coinvolgermi. Mi pagano pure. Così ‘sto zaino lo butto finalmente nel cesso e mando a ‘fanculo Glovo e le consegne a domicilio. Almeno per i prossimi tre anni...”

“Beato te!” - rispose Sasà.

“Beh, qualcosa potrebbe uscirne anche per te. Sai chi era Giuseppe Massarenti?”

“Un rivoluzionario di inizio Novecento, credo. Non so altro… tranne che la Coop di via Massarenti è cara” - aggiunse ridendo.

“Non proprio. Però bene! Cercano uno con buone basi di storia e sociologia, che però non sappia nulla di Massarenti.”

“Come mai?”
“Stà a sentire, che qua è fantascienza! Mirko Costanza insegna genetica qui a Bologna. Ha scoperto che il dna registra e conserva la memoria di un individuo. Tutto è partito da una ricerca sui topi: ad alcuni, in concomitanza con un odore, davano delle scosse elettriche. Ovviamente quelli si tenevano lontani da quell’odore per evitare le scosse, ma la cosa interessante è che anche i loro nipoti continuavano a evitarlo. Così hanno cominciato a studiare memoria e dna. Non te la faccio lunga che manco io ho capito bene come funziona… Fatto sta che come primo esperimento sugli umani hanno deciso di impiantare la memoria di Massarenti su di un individuo. Sarebbe come se lui potesse raccontare la sua esistenza in prima persona. Una svolta per la storiografia, se ci pensi. È per questo che cercano qualcuno che non sappia niente di lui, perché non deve essere in grado di alterarne i ricordi.”

“E vorresti che impiantassero i suoi ricordi su di me?”

“Duemila euro al mese, per tre anni. Per tutta la durata dell’esperimento. Ti sembrano pochi? Così oltre alla tua esperienza sindacale avrai anche l’esperienza di Massarenti.”

Risero. Il giorno dopo Paska contattò Degli Esposti e gli propose Sasà per l’esperimento. Tutto cominciò così, quasi per scherzo.

Bologna, 15 novembre 2021, ore 20.25

La testa mi scoppia, non riesco a sopportarlo. Vedo sfuocato, mi sento come se fossi altrove, in un luogo che non conosco. Mi sento osservato, ho paura. Cosa ci fanno quelle sbarre alla finestra? Non posso fidarmi di nessuno qui, ma dove sono? Dov’è il mio letto? Perché a questo letto ci sono delle cinghie? Vogliono legarmi?

“Nina! Ninaaaaaa!!! Aiuto!!!”

Bologna, 15 novembre 2021, ore 21


“Sasà, stai meglio?”- Nina era preoccupata. Lo vedeva pallido, sfinito.

“Ora sì, ma è stato orrendo. Ero in una stanza, sembrava d’ospedale. Non mi fidavo di nessuno, mi sentivo perseguitato. Pensavo che mi ascoltassero, che addirittura usassero l’impianto idraulico per farlo. Poi... immagini si accavallavano... Io, ma non ero io, bambino in un casolare che non conoscevo. Contadini incazzati che ne inseguivano altri. Colpi di pistola...”

Bologna, 16 novembre 2021, ore 11


“Il professor Degli Esposti, per favore. Sono Costanza...”

“Attenda un attimo per cortesia.”

“Pronto?”

“Ciao Fabio, sono Mirko. I ricordi sono affiorati. Cosa posso chiedergli per verificare?”

“Chiedigli di Guarda, dell’eccidio. Verifica se accenna a colpi di pistola da parte degli agrari.”

“Ti faccio sapere...”

Bologna, 16 novembre 2021, ore 15


“Voi mi chiedete dell’eccidio. Avete ragione, non è stato affatto bello vedere proletari ammazzare altri proletari. È il successo delle classi dominanti. Ma voi, in quella situazione, come avreste reagito?

Mi chiedete dell’eccidio, ma oggi, a tanti anni di distanza, vi ricordate solo di quello. Nessuno  si ricorda del povero Germano Pondrelli e di quanto gli successe prima dei fatti di Guarda. Lo sfrattarono con la forza dal fondo che coltivava; gli sequestrarono il grano, la canapa, il bestiame; tutta la sua famiglia, diciotto persone, fu messa nell’impossibilità di lavorare. Se non fosse stato per la solidarietà proletaria, Pondrelli e la sua famiglia sarebbero morti di stenti. Ma a voi non importa, a voi importa dell’eccidio. Ebbene, prima che questo avvenisse, gli agrari ci spararono addosso. Fuggivano da noi e sparavano, sparavano e fuggivano, come degli austriaci. Pondrelli fu arrestato, era innocente. Come se non bastasse quello che gli avevano fatto patire. E dopo la galera si fece il confino. Ma, mi chiedo, voi come avreste reagito? Ritenete anche voi lecito l’utilizzo dei crumiri? E a chi lottava da mesi e vedeva messe in discussione le proprie rivendicazioni, non ci pensate?”

“Bene, basta così.” - disse Costanza - “Come ti senti?”

“Non bene, professore. Mentre parlavo mi sentivo assente, come se non fossi io. Attingevo a dei ricordi, ma li sentivo non essere miei. Ho un po’ paura...”

Bologna, 16 novembre 2021, ore 17.30

“Pronto, Fabio?”

“Sì...”

“Sono Mirko. Parlava degli agrari che hanno sparato contro i dimostranti prima dell’eccidio. Accennava a un certo Pondrelli… Corrisponde?”

“Sì, degli spari Massarenti parlò in un telegramma inviato al prefetto il giorno stesso dell’eccidio. Pondrelli era un capolega dei mezzadri, ne guidò le prime proteste, e venne arrestato dopo i fatti di Guarda. Tutto bene quindi...”

“No, non proprio tutto bene. Il ragazzo sembra non sopportare il peso della memoria di Massarenti. Forse aveva ragione Crivelli. È un vissuto troppo traumatico, difficile da reggere per chi non è preparato. Adesso è con lui, stanno discutendo… Speriamo bene...”

Bologna, 16 novembre 2021, ore 19

“Che fai Paska?” - domandò Giulia.

“Scrivo la relazione per Degli Esposti. Cerco di descrivere le ragioni dei mezzadri, la loro alleanza con i braccianti, la lotta… Sembra che Sasà non stia reagendo bene dopo aver recuperato i ricordi di Massarenti… Sono preoccupati per lui… Anche io lo sono...”

“Stai tranquillo…”

“E come faccio...”

Giulia gli accarezzo la testa, si sedette sulle sue gambe: “Spostati un po’, fammi leggere.” - disse.


Mezzadri e braccianti a Molinella: un’alleanza inedita
[Alcune considerazioni su lotta di classe e agitazioni contadine nell’Emilia di inizio ‘900, a partire dai fatti di Guarda]


Guarda, Molinella. 5 ottobre 1914.

Secondo i carabinieri, all’avvocato Donini, segretario dell’agraria, era stato raccomandato di tornare indietro, o di procedere con cautela. I dimostranti sostengono invece che sia stata proprio l’auto di Donini a cercare di forzare il posto di blocco organizzato da coloni e braccianti. In un telegramma inviato in quelle ore al prefetto, Massarenti scrive che dalle macchine degli agrari sia partito anche qualche colpo di pistola.

Ricostruire con precisione i fatti, anche a distanza di più di cent’anni, risulta difficile. Dai documenti a nostra disposizione traspare tutta la concitazione del momento e forse, per comprendere meglio quel che avvenne a Guarda all’alba del 5 ottobre 1914, può essere utile fare un passo indietro, e cercare di descrivere quanto avveniva in quegli anni a Molinella. Dove, da diverso tempo, l’agitazione dei braccianti, e poi dei mezzadri, era permanente. […]

Giulia scostò lo sguardo dal monitor, poi chiese: “Ma sono così importanti questi fatti di Guarda? Ne hanno chiesto anche a Sasà, quando ha recuperato i ricordi di Massarenti...”

“Più che i fatti in sé, è importante la composizione sociale che animò quella lotta. Poi, vabbe’, non è che tutti i boicottaggi e gli scioperi si concludessero con cinque crumiri ammazzati come avvenne lì, e anche questo li rende un caso di studio interessante.

Ma ammazzare i crumiri portò i lavoratori alla sconfitta. Molti di loro vennero arrestati, i loro dirigenti furono imprigionati o dovettero scappare. Però, dopo l’amnistia del 1919, quando poterono tornare a Molinella, le lotte ripresero, praticamente dallo stesso punto nel quale si erano interrotte, fino ad arrivare alla vittoria dei mezzadri del 1920, quando le loro rivendicazioni furono accolte...

Quello che rende unici i fatti del 1914, è la richiesta da parte dei coloni di non negoziare i patti tra proprietario e mezzadro, come si era fatto fino ad allora, ma collettivamente, terreno per terreno, tra proprietari e Leghe coloniche. Mai prima in Italia si era rivendicato qualcosa del genere. E ciò fu possibile sia grazie a Massarenti, che era riuscito a creare una Lega dei mezzadri, sia grazie all’alleanza tra mezzadri e braccianti, che non era per niente scontata...”

“Vabbe’, lavoravano entrambi la terra d’altri. Era abbastanza naturale che si alleassero… no?” - lo interruppe Giulia.

“No, non era per nulla naturale. - disse Paska – In base ai vecchi patti colonici, come quelli che venivano messi in discussione a Molinella, le spese del lavoro svolto dagli avventizi erano a carico dei mezzadri e, questi ultimi, cercavano di risparmiare aiutandosi a vicenda. «Scambio di opere» si chiamava. I braccianti li accusavano di scarso senso di solidarietà… Inoltre, era il mezzadro che doveva provvedere a tutta la manodopera occorrente al fondo, ed era su di lui che ricadevano i costi degli aumenti salariali ottenuti dai braccianti grazie agli scioperi e ai boicottaggi…

Quaranta, che all’epoca dei fatti di Guarda era prefetto di Bologna, in un rapporto scritto qualche giorno prima dell’eccidio, sostenne che – lesse dal monitor – «negli operai è sempre fortissimo lo spirito di organizzazione». Se ci fai caso, quasi cent’anni dopo, nel 2000, anche Bauman dice qualcosa di simile, sostenendo che «l’azione collettiva, di classe, fu per gli strati socialmente meno abbienti una scelta naturale». Entrambi danno per scontata un’alleanza tra settori distinti della società, accomunati dalla povertà e dalle esigue risorse. In realtà quell’alleanza non fu affatto scontata, ma fu un processo abbastanza lungo, anche conflittuale. Spesso mezzadri e braccianti si trovarono su fronti contrapposti: i primi, che aspiravano a diventare proprietari, spesso comprendevano le ragioni del padrone, i secondi diffidavano di loro… La storia di Massarenti e delle lotte a Molinella testimonia quanto lungo, complesso e conflittuale fu quel processo…

Se ci fai caso la sua complessità non traspare neanche in Novecento, il film di Bertolucci che racconta le lotte contadine… Anche lì appare scontato che braccianti e mezzadri lottino uniti… In realtà scontato non lo era affatto…”

“Uff… Bertolucci… - disse Giulia – da quando ha raccontato la verità sulla scena dello stupro in Ultimo tango a Parigi non lo sopporto più, nonostante sia morto. Novecento sarà pure bello, ma lui è un pezzo di merda… e non riesco più a guardare i suoi film...”

“Era solo per dire che quando racconti la storia in opere cinematografiche queste, spesso, non possono fare altro che fotografare un momento, facendo perdere agli eventi e ai processi che si vogliono narrare la complessità che li caratterizza…”

Il telefonino di Paska cominciò a squillare, interrompendolo.

“Pronto?”

“Paska sono Nina… Sasà è fuori di sé… - disse piangendo – È convinto di essere Massarenti, dice che un esperimento del regime lo ha trasportato in un corpo e in un’epoca non sue. Ricorda della sua vera vita, almeno credo, non capisco se gli mancano dei pezzi, ma dice che quei ricordi sono quelli del corpo che lo ospita, non i suoi… Per favore… Venite...”

Bologna, 16 novembre 2021, ore 20,35


“Il telegramma… il telegramma del prefetto… l’ho ricevuto solo dopo che i crumiri erano stati ammazzati… non potevo fare più nulla, non ero neanche lì… È da allora che le persecuzioni si sono fatte più pesanti, hanno cercato di distruggermi, ma non ci sono riusciti. Il fascismo sì, quello mi ha distrutto. Rinchiuso in manicomio, come un pazzo… Anche lì mi perseguitavano, mi spiavano, volevano sapere tutto quello che facevo e scrivevo… Tra gli altri ricoverati c’erano agenti dell’Ovra infiltrati, volevano rendermi pazzo, farmi impazzire per davvero. Adesso mi hanno mandato qui, in questo corpo, con ricordi non miei. In un mondo che non conosco… Sono stati i medici che hanno permesso il mio internamento a farlo, è un loro esperimento. Dopo il fascismo sono rimasti tutti al loro posto, e hanno continuato a perseguitarmi… Matricola 011299, matricola 011299… È il numero con il quale mi hanno internato. È il numero che continua a perseguitarmi...”

“Calmati Sasà...” - disse Paska.

“Tu... tu... tu sei parte dell’esperimento, me lo ricordo. Hai accompagnato il corpo che mi ospita dai medici...”

“Cerca di ricordare bene… È un esperimento, sì, ma risale a quest’epoca. Ti hanno innestato i ricordi di Giuseppe Massarenti, devi saperli gestire...”

Sasà scoppio a piangere. Si prese la testa tra le mani, gli scoppiava.

“Va meglio?” - chiese Nina.

“Ora sì. Credo di essere tornato in me. Però, se avessi altri attacchi...”
“Non ti preoccupare Sasà, dicono che all’inizio è normale… Vieni, andiamo a fare una passeggiata.” - disse Paska.

Camminarono per via San Vitale, passarono la porta e si trovarono in via Massarenti. Paska indicò a Sasà il cartello sul quale era scritto il nome della strada.

“Vedi? Questa via l’hanno dedicata a te… Ehm, cioè… A lui… Non hai niente da temere...”

Risero. Poi Sasà portò le mani alla testa. Gli faceva male di nuovo.

“Speriamo, Paska – disse – Ho paura. Noi abbiamo preso ‘sta cosa con leggerezza, ma anche i medici che mi hanno seguito erano troppo presi dal loro esperimento per valutarne i rischi. E se impazzissi?”

“Beh, se diventi Massarenti davvero, saresti quello che ci serve. Ti ricordi i discorsi che facevamo sulle condizioni nelle quali siamo costretti a lavorare? Di un Massarenti, delle cooperative che mise in piedi e degli scioperi che riusciva a organizzare ci sarebbe proprio bisogno! Diventeresti il presidente della nuova «Repubblica degli accattoni»!”

Sasà rise, di gusto. Continuarono a passeggiare, una leggera pioggia cominciò a cadere.

“È quando mi viene in mente l’internamento in manicomio che parte il corto circuito, dev’essere stata un’esperienza orribile per Massarenti. I ricordi che la riguardano sono confusi e forti, difficili da sopportare... Morte al fascismo, porca boia!”

Titoli di coda


Massarenti e il manicomio

Giuseppe Massarenti fu sindaco socialista di Molinella dal 1906 al 1914 e dal 1920 al 1921. Dalla fine dell’Ottocento guidò le lotte di braccianti e mezzadri, dando un forte impulso alla formazione delle leghe. Sotto la sua spinta sorsero a Molinella diverse cooperative, sia di consumo, sia di produzione e lavoro.

I fascisti, che più volte assaltarono Molinella distruggendo la cooperativa di consumo e le sedi dei partiti di sinistra, bandirono Massarenti dal paese nel 1921. Trasferitosi a Roma fu arrestato nel 1926, passando gli anni fino al 1931 tra il carcere e il confino. Scarcerato nel 1931 gli fu vietato di rientrare a Molinella e gli fu inibito l’ingresso nell’intera provincia di Bologna.

Continuò a vivere a Roma in situazione di indigenza. Il 3 settembre 1937 fu prelevato dalla polizia e rinchiuso in manicomio, dove sarà internato fino al dicembre del 1944.

I deliri di Sasà, quando riferiti alle manie di persecuzione e all’internamento in manicomio, sono ispirati dalla cartella clinica di Massarenti, scritta durante la sua permanenza al Santa Maria della pietà di Roma, il luogo nel quale fu rinchiuso dal regime fascista. Chi volesse più notizie sulla detenzione di Massarenti in manicomio, può leggere:

- Matteo Petracci, I matti del duce. Manicomio e repressione politica nell’Italia fascista, Donzelli, Roma, 2014.

Il caso di Massarenti, analizzato dal punto di vista clinico, consultando le cartelle e la documentazione contenuta nel “diario” del manicomio è stato affrontato, nel 1946, dal neuropsichiatra Ferdinando Cazzamalli. Per la stesura del suo libro Cazzamalli incontrò più volte Massarenti, dal quale ottenne anche informazioni biografiche:

- Ferdinando Cazzamalli, L’avventura di Giuseppe Massarenti: per la libertà e la dignità del cittadino, Steb, Bologna, 1946.

Una biografia completa di Massarenti, arricchita dalla trascrizione di lettere e altri documenti, tra i quali alcuni stralci del suo diario clinico, è:

- Marco Poli, Giuseppe Massarenti. Una vita per i più deboli, Marsilio, Venezia, 2008.

I fatti di Guarda

All’alba del 5 ottobre 1914 cinque dei “liberi lavoratori”, chiamati dagli agrari di Molinella per mietere i campi sui quali si rifiutavano di lavorare i braccianti e i mezzadri locali, furono ammazzati.

L’agitazione dei mezzadri, con i quali solidarizzavano i braccianti, era cominciata a gennaio di quell’anno, quando annunciarono, con una lettera uguale per tutti, ai rispettivi proprietari e locatari che, per l’anno agrario 1914-1915, rivendicavano migliorie al patto colonico, al fine di armonizzarlo con le nuove colture e con il maggior costo della vita. Alla base delle rivendicazioni, tra le altre cose, vi era la richiesta di più favorevoli quote del riparto e che sia i patti colonici, sia le scritte che chiarivano la loro attuazione, fossero negoziati, podere per podere, collettivamente tra Lega e proprietari, e non singolarmente tra proprietario e mezzadro. I membri dell’agraria rifiutarono la contrattazione collettiva e ciò portò a un lungo braccio di ferro tra le organizzazioni padronali e quelle operaie. I mezzadri decisero di mietere solo quanto gli spettava, e i braccianti si rifiutarono di lavorare sui campi dei proprietari che non aderivano alle richieste dei mezzadri. Il tira e molla si concluse con l’eccidio di Guarda, in seguito al quale Molinella fu militarizzata e molti braccianti e mezzadri furono arrestati o costretti a scappare.

In seguito a quei fatti, Giuseppe Massarenti si rifugiò a San Marino e da lì si difese sia dalle accuse che gli addossavano la responsabilità dell’eccidio, sia da quelle che gli attribuivano la distrazione di fondi pubblici. Da queste ultime fu assolto in un processo presso il Tribunale di Bologna il 10 giugno 1919.

Per approfondimenti sulla situazione economica di Molinella, sulle lotte di braccianti e mezzadri, sulle cooperative che sorsero in paese, sulla vicenda che vide coinvolto Germano Pondrelli, sui fatti di Guarda e, in generale, sul contesto all’interno del quale Massarenti operò, si possono leggere:

- Gianna Mazzoni, Un uomo un paese: Giuseppe Massarenti e Molinella, Istituto Gramsci Emilia-Romagna, Bologna, 1990.

- Luigi Arbizzani, Giuseppe Massarenti, capolega di Molinella, Edizione “Arte-Stampe”, Bologna, 1967.

In quest’ultimo volume è contenuta anche un’intervista a Giuseppe Massarenti realizzata da Palmiro Togliatti per L’Ordine nuovo dell’otto giugno 1922.

Il telegramma inviato da Massarenti al prefetto immediatamente dopo l’eccidio, la relazione del prefetto alla quale accenna Paska, datata 2 ottobre 1914, e altri documenti relativi ai fatti di Guarda sono conservati presso l’Archivio di stato di Bologna:

- Archivio di Stato di Bologna, Gabinetto di Prefettura, Documenti delle buste 1219 (1914) e 1220 (1914).

La citazione di Bauman è tratta da:

- Zygmunt Bauman, Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari, 2002, pg. 24.

La repubblica degli accattoni


Molinella fu uno dei luoghi simbolo del nascente socialismo italiano, una vera e propria “isola rossa” (come fu da più parti definita) realizzata su tre basi: la cooperazione, le leghe e l’amministrazione del municipio.

In ambito amministrativo, Massarenti operò per un sistema fiscale equo, favorì l’edilizia popolare, aumentò, a tutti i livelli, l’offerta di istruzione, creò biblioteche, erogò sussidi sia economici che relativi a servizi, realizzando, secondo alcuni, una prima esperienza di stato sociale.

La cooperazione era considerata da Massarenti uno strumento rivoluzionario, strettamente collegato all’amministrazione municipale e alle leghe sindacali. Nel 1896 fondò la Cooperativa di consumo, alla quale assegnò un ruolo di supporto alla lotta dei lavoratori,  ritenendola subordinata alla Lega. Gli utili della Cooperativa erano indirizzati a sostenere con sussidi i lavoratori in lotta, a contribuire alla realizzazione di asili, a finanziare corsi di alfabetizzazione e ad acquistare libri.

Il modello realizzato a Molinella ebbe non pochi detrattori. Nel 1916 fu definito “Repubblica degli accattoni” dal giornalista Mario Missiroli, il quale scrisse, con quel titolo, un opuscolo (Zanichelli, Bologna) nel quale attaccava violentemente l’esperienza che aveva preso vita nel comune. Massarenti rispose a Missiroli con un articolo dallo stesso titolo su La squilla del 23 settembre 1916.

Per saperne di più sul modello politico amministrativo di Molinella, sulla sindacalizzazione dei mezzadri e sulla lunga vertenza mezzadrile del 1914 (quella che si concluse con i fatti di Guarda):

- Mirco Dondi, Il conflitto sociale. Dagli albori della sindacalizzazione alla trasformazione delle campagne, Clueb, Bologna, 2012.

Memoria e dna


Non è affatto dimostrato, come sostenuto nel racconto, che il dna registri e conservi la memoria di un individuo, però, l’esperimento sui topi citato da Paska, si è realmente svolto, e ha dato i risultati che descrive; molti studi ed esperimenti si stanno concentrando sulla memorizzazione di dati digitali sul dna, che garantisce uno spazio infinitamente superiore a quello assicurato da un hard disk o da una Ssd ed ha una durata più lunga.

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venerdì 3 luglio 2015

Jp Morgan, le costituzioni del Sud Europa, il Ttip e la crisi greca - una lettura non convenzionale

Qualche giorno fa, sui blog di Micromega, l'economista Sergio Cesaratto ha pubblicato un post sulla crisi greca.

La sua analisi apre scenari che stuzzicano il fascino per il "mito", un fascino che ciascuno di noi, anche se in misure diverse, nutre.

Un popolo che fa propri gli ideali di libertà, giustizia (anche sociale) e democrazia in lotta contro il mondo intero, in cerca di alleanze con chi si è già ribellato all'ordine imperiale.

Ognuno, anche se non intimamente ribelle, subisce il richiamo romantico di questa sfida. Sembra qualcosa di epico, e, anche se finisce male, siamo abituati a "eroi romantici" che perdono. Del resto il fascino del mito sta anche in quello.

Io stesso non nego di aver fantasticato su alcuni scenari evocati; però, nonostante tutto, la sensazione di fondo che provavo era la stessa che percepisco leggendo anche altre analisi: è condivisibile, sembra spiegare, eppure... manca qualcosa...

Forse il limite prospettico è il mio, ma quella che mi sembra mancare è un'analisi deterministica dello scenario, nel senso che dà Carr a quel termine, cioè di una spiegazione causale dei fenomeni, valutati nel loro divenire storico.

Cerco di spiegarmi meglio.

Qualche tempo fa in un documento redatto dalla banca d'affari Jp Morgan si leggeva:

"I sistemi politici dei paesi del sud, e in particolare le loro costituzioni, adottate in seguito alla caduta del fascismo, presentano una serie di caratteristiche che appaiono inadatte a favorire la maggiore integrazione dell’area europea."

Secondo me, ma posso anche sbagliarmi, per spiegare la crisi greca si dovrebbe partire da qui.

Perché nel 2013 negli ambienti di Jp Morgan circolavano quelle parole? E, soprattutto, quali sono le caratteristiche di quelle costituzioni che le rendono "inadatte a favorire la maggiore integrazione dell'area europea"?

La risposta forse, la troviamo nel Ttip, l'accordo di libero scambio tra Europa e Stati uniti, o, almeno, riflettendo su quel poco che trapela da una trattativa diplomatica che spesso ci viene narrata come "segretissima".

Pare che una delle clausole sulle quali si poggerà il trattato, consentirà alle imprese private di fare causa ai governi che applicano norme in qualche modo in grado di danneggiarle, qualsiasi esse siano.

Le costituzioni del Sud Europa questo non lo consentono, in esse l'interesse privato non è considerato predominante su tutti gli altri, pertanto, per abolire una legge, o hai la forza sociale di vincere un referendum, o vuol dire che la maggioranza della popolazione considera quella norma equa e tu, impresa, sei semplicemente parte di un sistema complesso ispirato dai valori di libertà, eguaglianza, fraternità (per farla semplice).

Secondo me la Grecia, oggi, è uno dei terreni sul quale queste due visioni si scontrano, e una vittoria del no, forse, sarebbe molto più importante sul piano europeo, che in un'ottica che prevede l'uscita della Grecia dall'euro e dall'Unione.

L'idea stessa di Europa, proprio come le costituzioni del suo Sud, nasce nelle carceri fasciste. Troppo poco spesso ci facciamo caso, ma l'Europa, è anche il primo tentativo di costruire una struttura sovranazionale (qualsiasi cosa si voglia intendere per "nazione") su basi democratiche, repubblicane e mediante il libero accordo dei popoli.

In un mondo dominato da multinazionali (anche europee) che hanno un potere politico ed economico spesso maggiore rispetto a quello di diversi stati, un tentativo del genere dà fastidio innanzitutto a queste, soprattutto se quell'ordine sovranazionale è ispirato dagli stessi valori che animano le costituzioni del Sud Europa tanto sgradite a Jp Morgan.

La lotta in Grecia, secondo me, non è tanto legata alla sola austerity, ma a due visioni della società molto diverse, per questo credo che una vittoria del no, seguita dall'accordo più vantaggioso possibile per il popolo greco, sarebbe molto più utile di un'uscita della Grecia dall'Europa. Ridarebbe forza e slancio alle forze popolari in tutta l'Unione, in un contesto di sempre maggiore collaborazione fra quest'ultime.

A quel punto la lotta sarebbe costituente, nel senso del lottare per una costituzione europea il più avanzata possibile, basata sui valori della resistenza.

Un contesto del genere sarebbe maggiormente favorevole anche se allarghiamo la visione oltre i confini europei.

La Cina, per esempio, non avrebbe alcun vantaggio a investire in una Grecia fuori dall'Unione, perché, in un contesto di isolamento, la Grecia diverrebbe per la Cina una semplice nicchia di mercato, non la porta dei mercati europei, un luogo dal quale le merci giungono a Vienna (pare che i cinesi stiano progettando una ferrovia ad alta velocità che unisca il Pireo a Vienna) e nel resto d'Europa in poche ore.

L'Europa, dal canto suo, potrebbe "imporre" sia alla Cina, sia agli Stati uniti, un salario minimo, oltre che norme che sanciscono i diritti dei lavoratori e la salvaguardia dell'ambiente.

Secondo me, ponendo alla base dell'analisi che non esiste un'Europa diversa da quella dell'austerity, ci si preclude un terreno di gioco che, forse, sarebbe più favorevole alla lotta per i diritti, la dignità, la libertà, l'indipendenza e la democrazia, non solo in Europa.

Un contesto nel quale il vecchio motto che invitava tutti i proletari del mondo a unirsi, acquisirebbe maggiore senso, anche se il proletariato è profondamente cambiato e, forse, non si può più chiamarlo così. Ma questo è un altro discorso...

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venerdì 24 ottobre 2014

Waterloo! - Appunti sparsi sul capitalismo contemporaneo.


Il costante tentativo di razionalizzare l'intera società in base ai principi della massimizzazione dei profitti, adottando strumenti e conoscenze sempre più avanzati, in grado di creare automatismi nell'accumulazione (ma non solo) e velocizzare i processi a tutti i livelli.

E' una delle caratteristiche principali delle società capitaliste. L'agire politico dei capitalisti, sia diretto sia indiretto, è improntato all'ottenimento di questo risultato.

Marx lo aveva intuito quasi due secoli fa, per questo molte delle sue analisi sono lungimiranti e trovano riscontro ancora oggi.

Marxismo

Molti marxisti invece, sembrano tralasciare questo aspetto, dedicano poco tempo all'analisi della struttura delle società capitalistiche, e si perdono in dispute teoriche che vanno verso una concezione “misterica” dell'economia.

Così, non si rendono conto che mai come in questo momento i fallimenti del capitalismo sono manifesti, pubblici.

E che i lavoratori siano sfruttati, lo si comprende molto meglio dalla formula creata dagli economisti neoliberisti per massimizzare i profitti (e che ogni azienda contemporanea utilizza), che dalla teoria del valore lavoro elaborata da Marx.

L'equivoco di fondo è uno: le teorie neoliberiste non servono a spiegare l'economia, o a celarne il reale funzionamento, ma a razionalizzare il sistema economico (e non solo) in base ai principi che propagandano.

Le banche, le imprese, i modelli previsionali adottati da stati e privati, funzionano grazie ad algoritmi elaborati in base a quelle teorie.

L'assunto di fondo è: se l'impresa privata massimizza i profitti, vi sarà una ricaduta positiva sull'intera società, e anche il benessere complessivo crescerà costantemente, proprio come i profitti.

La crisi cominciata nel 2007 dimostra che questo assunto è sbagliato, e sono proprio gli algoritmi creati per razionalizzare l'intera società, e non solo l'economia, in base a esso che non hanno retto. Rendendo manifesto che è proprio la ricerca costante e incondizionata di profitti a creare instabilità diffusa nel sistema, trasferendo sull'intera società, e persino sull'ambiente e sul territorio, i costi dell'insostenibilità sistemica che caratterizza il capitalismo contemporaneo.

Di quella crisi molti ricordano i mutui subprime e l'effetto disastroso che ebbero sul sistema economico a livello globale; pochi invece conoscono il nome di Xiang Lin, che all'epoca era professore all'Università di Waterloo, in Ontario.

La Waterloo del capitalismo

Lin elaborò una formula matematica in base alla quale era possibile calcolare il rischio derivante da una determinata operazione finanziaria, e in base a questo, fu possibile ideare modelli che permettevano, almeno a prima vista, e mediante una serie incrociata di assicurazioni, di eliminarlo o ridurlo a livelli infinitesimali.

Una sorta di pietra filosofale insomma.

E' grazie alla scoperta di Lin che i mutui subprime ebbero la diffusione che venne riscontrata allo scoppiare della crisi. Ma se la crisi avesse riguardato solo quel settore, molto probabilmente non avrebbe avuto le conseguenze che ancora oggi verifichiamo quotidianamente.

In base alla formula di Lin, soprattutto negli Stati uniti, si cercò di riversare sui mercati assicurativi ogni spesa derivante dalla previdenza sociale, mentre i mercati bancari si accollarono il sostegno dei consumi, grazie a una diffusione mai osservata prima del credito al consumo.

Ma la formula di Lin non resse lo stress alla quale fu sottoposta, non tutti i rischi erano prevedibili ed eliminabili. Molte variabili non erano state considerate, e l'instabilità sistemica era data dagli stessi principi che avevano ispirato la formula: quelli della teoria neoliberista, la massimizzazione dei profitti privati.

Un economista americano di origine indiana, Raghuram Rajan, descrive i giorni della crisi con queste parole:
“Il dato in qualche modo spaventoso è che ognuno di noi ha fatto ciò che era ragionevole fare, dati gli incentivi che aveva di fronte.

E, nonostante fosse sempre più evidente che le cose stavano andando male, tutti ci siamo attaccati alla speranza che sarebbe finita bene, i nostri interessi stavano in quel risultato.”

In altri termini: la situazione era appetitosa per molti investitori, si intravedevano buoni margini di extra profitto e, nonostante gli indicatori dessero segnali allarmanti, tutti ebbero fiducia negli algoritmi che regolavano il sistema e permettevano di distribuire i rischi.

Forse pensavano che l'euforia che animava i mercati lentamente sarebbe scemata, lasciando il posto a una situazione più “normale”.

Ciò non avvenne, i mercati crollarono proprio perché tutti cercarono di massimizzare il proprio profitto e i rischi divennero imprevedibili.

Assieme ai mutui subprime, crollò il più grande tentativo di razionalizzare l'intera società in base al principio della massimizzazione dei profitti privati mai avvenuto dalla nascita del capitalismo.

Le politiche neoliberiste che si erano diffuse a partire dagli anni '70 del secolo scorso non ressero, ed era la loro formalizzazione matematica, ideata per razionalizzare il sistema, che lo dimostrava.

Le politiche neoliberiste


In tutti i paesi nei quali sono state applicate, le politiche economiche neoliberiste sono state caratterizzate da una costante diminuzione delle tasse sui consumi e sulle imprese, da una forte elargizione di contributi pubblici al sistema produttivo privato e dal “trasferimento sovvenzionato” al settore privato della previdenza sociale, dell'istruzione e della sanità.

Per chi era costretto a pagarle (lavoratori dipendenti, artigiani, autonomi, commercianti e piccoli imprenditori), le tasse diventavano sempre più odiose, in stati che garantivano sempre meno servizi, protezioni, diritti e garanzie.

A fronte di una costante riduzione delle imposte, soprattutto per la grande impresa, e di enormi trasferimenti di denaro al settore privato, il peso del debito ha cominciato a manifestarsi in maniera sempre più vistosa nei bilanci pubblici, a partire da quelli degli Stati uniti, dove, tra il 2000 e oggi,  è cresciuto vertiginosamente.

Il debito

Gli stati si sono indebitati e hanno tagliato le spese per trasferire denaro alla grande impresa privata, che a sua volta gestiva, in base al criterio della massimizzazione dei profitti, settori fino ad allora di competenza dello stato, e pagava sempre meno tasse, aumentando il rischio di insolvenza degli stati, che a fronte di una sempre maggiore parte di spesa finanziata con debito, potevano contare su entrate sempre più esigue.

Si è assistito a un enorme trasferimento di denaro dalle casse pubbliche a quelle della grande impresa privata, finanziato con debito pubblico e con il taglio di servizi essenziali che fino ad allora gli stati avevano garantito.

La moneta


Pochi lo fanno notare, ma quello che si verifica negli ultimi tempi, soprattutto negli Stati uniti, è la negazione di uno degli assunti in base al quale la politica neoliberista ha potuto dominare incontrastata, sostituendo quella keynesiana, che dal punto di vista del controllo dei prezzi si era dimostrata fallace: l'aumento della quantità di moneta nel sistema economico fa salire i prezzi, la moneta stessa vale di meno, quindi i tassi di interesse salgono (i tassi di interesse salgono perché, se presumo che con un euro domani potrò comprare meno di quanto compro oggi, per prestartelo ti chiedo un tasso di interesse più alto, che mi permetta di recuperare anche la perdita di valore).

E' per questo motivo che la Banca centrale europea, che ha come principale obiettivo quello del controllo dei prezzi, ha poco spazio di manovra nello stampare moneta, e nell'immettere liquidità nel sistema.

Eppure questo principio sembra essere saltato: gli Stati uniti hanno accumulato un debito pubblico notevole, immettono moneta nel sistema ormai da anni, ma i prezzi restano stabili e i tassi di interesse non salgono. Perché?

Da un lato gli Usa hanno fatto ricomprare grossa parte del loro debito da enti pubblici, riducendo così il rischio che i tassi salgano in base a ventate di sfiducia che possono circolare su i mercati internazionali, dall'altro sono sostenuti dalla Cina, che tende a tenere debole la propria moneta rispetto al dollaro per favorire le esportazioni, sostenendo di fatto il dollaro come moneta negli scambi internazionali.

Quella che si è venuta a creare è una situazione artificiosa, e gli Stati uniti sono un paese a rischio insolvenza, in cui le entrate fiscali sono molto basse e tutte le prestazioni sociali sono affidate ai mercati finanziari, a loro volta del tutto deregolamentati.

In altri termini hanno una situazione molto simile a quella della Grecia prima del default, su scala molto più vasta, ma potendo contare su di un apparato produttivo e su un mercato interno neanche paragonabili con quelli greci.

Per uscire da questa situazione, i suoi politici dovrebbero abbandonare le teorie neoliberiste, ma nel farlo incontrano parecchie resistenze, come quelle del Tea party, un movimento di estrema destra legato al partito conservatore, che ha fatto della lotta contro le tasse il suo cavallo di battaglia.

Vogliono distruggere il loro paese?

No, vogliono semplicemente impoverirlo e ridurre gli spazi di democrazia, perché dal loro punto di vista sono ben consapevoli che il neoliberismo ha fallito e che l'unica società razionalizzabile in base ai principi della massimizzazione dei profitti, cosa che gli consentirebbe di mantenere tutto il loro potere, è una società fascista su base nazionale.

Non è un caso se Milton Friedman, uno dei padri del neoliberismo, sperimentò le proprie teorie nel Cile di Pinochet.

L'Italia


L'Italia è uno dei paesi in cui le teorie neoliberiste hanno imperversato per oltre trent'anni.

Il risultato che hanno prodotto è sotto gli occhi di tutti: un interesse sui titoli di stato molto alto; una disoccupazione, soprattutto giovanile, diffusa; la desertificazione industriale; la riduzione di servizi, diritti e garanzie; tariffe elevatissime, frutto della privatizzazione di settori strategici che ha fatto lievitare i costi anche per l'industria stessa.

Anche in Italia si è finanziata, e si continua a finanziare, la riduzione delle tasse alla grande impresa con debito e tagli ai servizi, e anche qui movimenti reazionari hanno fatto della lotta alle tasse il loro cavallo di battaglia, arrivando a proporre l'uscita dall'euro (sarebbe interessante se qualcuno studiasse le affinità tra Tea party, Lega e Cinque stelle).

Non comprendendo, o non volendo comprendere, che all'origine della crisi non c'è l'euro ma le politiche neoliberiste, e che anzi l'euro ha contribuito a rendere meno disastrosi gli effetti della crisi.

Europa!

A livello internazionale i fattori di instabilità sono soprattutto di ordine monetario, e forse è anche per questo che la moneta assume grande importanza nelle teorie del complotto.

La realtà è che gli Stati uniti rischiano di perdere il ruolo in cui hanno giocato per tutto il dopoguerra, e la loro moneta rischia di non essere più alla base degli scambi internazionali. Un ruolo che gli viene conteso dall'euro.

Se la Cina decidesse di vendere in un giorno tutto il debito americano che possiede, e tutti i dollari che custodisce nelle proprie casse, gli effetti sarebbero disastrosi sull'economia americana e, molto probabilmente, anche per la pace a livello globale.

Una situazione di forte interdipendenza economica tra stati, oltre che tra privati, era stata prevista da Keynes, quando nell'immediato dopoguerra propose una moneta unica mondiale, proprio per impedire il verificarsi di una situazione come quella che va manifestandosi dinanzi a noi.

All'epoca fu inascoltato, eppure oggi appare abbastanza ovvio che solo una moneta globale, e una maggiore integrazione democratica internazionale, potrebbero eliminare i rischi di un conflitto che sarebbe disastroso, e mettere freno allo strapotere di imprese che operano sul piano globale, sfruttando la divisione in stati nazione, e l'adozione di sistemi normativi e fiscali differenti, per avviare una concorrenza al ribasso che limita non solo il benessere economico, ma le stesse libertà dei cittadini.

In un contesto del genere, la battaglia per un'Europa sociale è di fondamentale importanza.

L'Europa è il primo esempio al mondo di superamento dello stato nazione a favore di un'ordine transnazionale, e il primo esperimento di integrazione monetaria transnazionale.

Certo, fino a oggi sono stati i principi del neoliberismo a guidare questo processo, gli stessi che ora ne mettono in discussione la sopravvivenza. Ma questo è potuto avvenire anche perché un'idea di Europa non si è sviluppata a sinistra, si è sottovalutato il potenziale “rivoluzionario” che quel processo assumeva nel nuovo ordine internazionale che seguì alla caduta del muro di Berlino.

Mai come oggi i proletari di tutto il mondo dovrebbero essere uniti per ottenere garanzie e diritti uguali per tutti a livello internazionale. E mai come oggi l'Europa può essere l'avanguardia di questa lotta, anche grazie alla propria tradizione di libertà, diritti e democrazia che affonda le sue radici nell'illuminismo, nella rivoluzione francese, in quella russa e nella resistenza al nazifascismo.

L'unica alternativa a un ordine democratico transnazionale potrebbe essere costituita da innumerevoli “fascismi” nazionali, in un mondo dominato da imprese che agiscono a livello globale. Dovremmo tenerne conto quando parliamo di Europa.

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sabato 6 aprile 2013

Slittamenti geografici

Nel contesto di "Medioevo inverso" come inquadri gli slittamenti geografici, per esempio la decadenza del Giappone a favore della Cina? 

(Augusto Illuminati)


[Me l'ha chiesto ieri, ed è una delle domande più interessanti che mi hanno fatto. Ho pensato che forse lo stesso dubbio è venuto ad altri. Questo post è per loro.]

Credo che le imprese giapponesi non siano riuscite a sostenere la strategia espansiva che avevano adottato.
Il Giappone è piccolo e letteralmente isolato. Con la saturazione dei mercati le sue imprese dovettero espandersi a livello internazionale.

Anche a loro, come alle dirette concorrenti, non bastava semplicemente esportare ma furono costrette ad avviare una campagna di acquisizioni e fusioni di imprese in altri paesi.

Nel 1990 le aziende Giapponesi detenevano all'estero, in riserve e capitale fisso, ben il  927,13 percento in più rispetto al 1980.

Per sovvenzionare le loro manovre ricorsero soprattutto ai mercati finanziari, in particolare a quelli asiatici, che divennero preda della speculazione.

Non è un caso se alle radici della crisi che attraversò il Giappone per tutti gli anni '90 ci furono lo scoppio della bolla immobiliare e di quella azionaria.

Quei mercati, come avverrà nel 2007 negli Stati uniti, vennero messi "sotto sforzo", e non ressero. Cominciò così per il Giappone quello che molti analisti chiamano il "decennio perso".

Nello stesso periodo la Cina è in una situazione economica e sociale simile a quella che caratterizzò l'Europa nel Secondo dopoguerra: ha forti margini di crescita, miliardi di abitanti ed è sterminata. Per varie ragioni riesce a esportare a prezzi più che competitivi.

Hobsbawm scrive:

"La Cina e quasi tutta l'asia orientale e sud orientale, emerse negli anni '70 come la regione più dinamica di tutta l'economia mondiale, il termine depressione non significava nulla, con l'eccezione, piuttosto curiosa, del Giappone all'inizio degli anni '90."

In realtà quell'eccezione non era curiosa, ma frutto delle strategie di espansione
delle imprese giapponesi e delle loro manovre speculative.

Qualche anno dopo, nel 1997 saranno le "tigri asiatiche" (Corea del Sud, Taiwan, Singapore e Hong Kong) a collassare, e anche in quel caso la crisi parte dai mercati finanziari... Anche loro stavano facendo il passo più lungo della gamba.

Nel 2007, se la mia ipotesi è esatta, la stessa sorte tocca agli Stati uniti.
La Cina si comporterà come tutti gli altri, o riuscirà là dove i suoi concorrenti non sono riusciti?
Forse l'ipotesi più probabile è quella prospettata da Khanna, un ex consigliere di Obama: una situazione di stallo all'interno della quale gli Stati uniti possono essere paragonati all'Impero bizantino in decadenza.
Una decadenza che durò molto a lungo, ma che non fece perdere a Bisanzio, se non lentamente, l'influenza culturale, politica e militare che aveva esercitato per secoli.

Scarica Medioevo inverso, la globalizzazione come non l'hai mai vista.


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mercoledì 3 aprile 2013

Medioevo inverso


I matematici lo chiamano “effetto mondo piccolo”: due nodi qualsiasi di una rete complessa sono collegabili attraverso pochi legami. Un esempio classico è la rete aerea: due città, indipendentemente dalla loro distanza, sono raggiungibili generalmente prendendo al massimo due o tre voli.


Secondo Stefania Vitali, James B. Glattfelder e Stefano Battiston dell'Eth di Zurigo, anche il sistema economico è rappresentabile come una rete complessa.

Una rete dove a costituire i nodi sono 737 grandi investitori. Da soli detengono l'ottanta percento delle azioni delle 43mila e sessanta multinazionali più importanti al mondo, attraverso una fittissimo intreccio di rapporti di proprietà.

Sono soprattutto società finanziarie, per lo più nordamericane o europee. Se una di loro entrasse in crisi potrebbe far collassare l'intero sistema: effetto “mondo piccolo”.

Ma come ha fatto il mondo a diventare così piccolo?


Scarica Medioevo inverso, la globalizzazione come non l'hai mai vista.

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mercoledì 13 marzo 2013

Socialdemocratici a 5 stelle

L'eccezionale risultato del Movimento 5
stelle e lo “tsunami” Grillo rischiano,
proprio come una tempesta, di ridurre la
visuale; di fare in modo che ci si focalizzi
su di essi, tralasciando il contesto nel quale
il loro successo è maturato. Un esercizio
che porta a considerare la realtà ancor più
complessa di quanto realmente sia.




A sinistra tutti consideravano lo spazio politico occupato dal Movimento 5 stelle come “il proprio”, dall'anarchico al democratico di sinistra.

Ora si susseguono le analisi.
 
Il ritmo di fondo, dal democratico di sinistra all'anarchico, è quasi sempre lo stesso, anche quando non viene detto esplicitamente: “Come ha fatto Grillo a occupare il nostro spazio?”.

Ma la cosiddetta “sinistra radicale” è proprio sicura che quello fosse il proprio spazio?

Una nuova forza socialdemocratica

A Grillo e Casaleggio non è riuscito quello che alla “sinistra radicale” non è riuscito, è riuscito quello che non è riuscito al Partito democratico.

Non hanno fatto altro che garantire una rappresentanza a lotte, a istanze, a richieste, di per sé “socialdemocratiche”, No Tav comprese. E hanno trovato un elettorato pronto a votarli.

Il Movimento 5 stelle non ha occupato lo spazio dei movimenti per fare in modo che questi non contassero, ha garantito una rappresentanza a“movimenti”, a volte molto diversi tra loro (dai No Tav agli imprenditori veneti), che avanzavano proposte “socialdemocratiche”,non certo “rivoluzionarie”.

Il fatto che alcuni di questi movimenti, soprattutto il No Tav, adottassero forme di protesta a volte “radicali” per rendere visibili le proprie istanze è probabilmente un effetto del Berlusconismo, degli anni in cui qualsiasi rivendicazione non improntata al “pensiero unico” veniva tacciata come estremista, e criminalizzata, anche dai partiti che, come il Pd, alla socialdemocrazia dicono di richiamarsi.

Giuliano Santoro in “Un Grillo qualunque” sostiene che Grillo e Casaleggio si siano appropriati delle rivendicazioni di alcuni movimenti, mettendo loro il cappello.

Probabilmente sbaglia però, e il risultato elettorale in Val Susa sta lì a dimostrarlo.

Molte delle persone che a quei movimenti hanno dato vita, il cappello a 5 stelle se lo sono messe in testa da sole, forse perché il copricapo non aveva una forma definita: poteva trasformarsi dal berretto frigio dei sanculotti in Val Susa, addirittura al fez in alcuni ambienti del nord est.

Oggi si tende a bollare come fascistoide il: “Nè destra, né sinistra”urlato da Grillo, e a condannare le dichiarazioni revisioniste di alcuni volti emergenti del suo Movimento.

È sacrosanto, per carità! Ma buttarla sul fascismo credo non aiuti a inquadrare il fenomeno.

Se tornano alla mente alcuni discorsi fatti da esponenti del Pd qualche anno fa, Violante in testa; ma anche lo slogan gridato durante le proteste studentesche da giovani vicini al Pd e Sel: “Né rossi, né neri, ma liberi pensieri!”, si capirà che tra i due discorsi non c'è poi molta differenza.

Alcuni dirigenti del Pd speravano con quei discorsi di intercettare l'elettorato berlusconiano, unendovi una proposta politica fortemente simile a quella del Pdl. Il gioco non riuscì.

Grillo invece, interpreta il sentimento della “base”, declina a modo suo il “Né rossi, né neri” gridato da alcuni ragazzi, e offre una prospettiva socialdemocratica, riuscendo a strappare realmente elettori al Pdl e alla sua coalizione.

Una delle più grosse novità venute fuori da queste elezioni è l'esistenza in Italia di due forti blocchi socialdemocratici, il Pd e il Movimento 5 stelle che, per il momento, non riescono ad allearsi.

Insieme rappresentano complessivamente il 37% dell'elettorato italiano, cioè il 12,71% in più rispetto a quanto pesava realmente il Pd nelle elezioni del 2008 e appena il 3,43% (poco meno di 2 milioni di voti) in meno rispetto ai circa 19 milioni di voti raccolti dall'intera coalizione di centrosinistra nel 2006, quando vinse.

Una passeggiata in Val Susa

Forse per capire il Movimento 5 stelle sarebbe utile fare una passeggiata in Val Susa dove, vista anche l'intensità delle lotte, è difficile immaginare che qualcuno si faccia mettere arbitrariamente un cappello in testa.

In quella valle il Movimento 5 stelle spopola, raccogliendo cifre che in tutti i comuni oscillano intorno al 40%.

Più che un voto di mera protesta, sembra che i cittadini della Valle si siano autorganizzati nel Movimento 5 stelle per garantire una rappresentanza politica alle proprie istanze.

L'altro dato che balza agli occhi analizzando il risultato elettorale in Val Susa è che i votanti sono sensibilmente superiori rispetto al dato nazionale, circa il 5% in più in quasi tutti i comuni; e, se gli altri partitini della Sinistra (Sel e Rivoluzioni civile) ottengono percentuali in linea con quelle nazionali, non riuscendo ad attrarre il voto No Tav, il Pd ottiene un dato sensibilmente inferiore rispetto a quello nazionale, quasi la metà di quanto ha raccolto in Valle nelle elezioni precedenti.

Un successo indiscutibile per i 5 stelle, e ottenuto grazie a una proposta puramente socialdemocratica: “I soldi spesi per la Tav sono soldi spesi male. Basterebbe potenziare la rete ferroviaria già esistente e sottoutilizzata per far passare l'alta velocità. Perché quei soldi non vengono spesi per finanziare le piccole e medie imprese italiane così rilanciamo l'economia e non distruggete neanche la nostra bella valle?”.

Niente di rivoluzionario insomma: solo “buon senso e ragionevolezza”.

Ma i 5 stelle fanno propri anche gli aspetti rivoluzionari dei No Tav: le pratiche di democrazie diretta: “Uno vale uno!”; la presenza di forme di lotta radicali; la ricerca di nuove forme di partecipazione collettiva.

Le fanno proprie e cercano di estenderle su tutto il territorio nazionale, giudicandole le forme più appropriate per organizzare una forza socialdemocratica in Italia, nel 2013.

Quello che non è riuscito al Pd.

Così facendo intercettano anche il voto di chi si schiera a sinistra rispetto a una forza socialdemocratica.

Oltre al no fermo alla Tav, i 5 stelle accolgono nel proprio programma alcune istanze che la cosiddetta sinistra radicale ex-parlamentare non ha mai saputo fare davvero proprie: dal reddito di cittadinanza alla legalizzazione delle droghe leggere (che poi sarebbe l'unica riforma in grado di garantire un gettito fiscale tale da poter finanziare il reddito di cittadinanza e altre politiche sociali senza intaccare voci di bilancio già esistenti o diritti acquisiti).

Una mossa che, anche grazie al clima di repressione e criminalizzazione che si respira in Italia, ha annebbiato la prospettiva, facendo percepire il Movimento 5 stelle molto più vicino ai movimenti sociali che hanno attraversato l'Italia dal 2008 a oggi di quanto realmente sia.

I socialdemocratici, se fanno i socialdemocratici davvero, dicono cose molto più “di sinistra” rispetto a chi ha ridotto l'idea stessa di sinistra a un feticcio.

Un nuovo Berlusconi?

Molti paragonano Grillo a un nuovo Berlusconi, spesso facendo leva su alcune cazzate da lui dette, come l'abominio a proposito dei figli degli immigrati.

Probabilmente dimenticano che i campi di detenzione per immigrati in Italia furono istituiti da due politici socialdemocratici come Livia Turco e Giorgio Napolitano, nel vano tentativo di rincorrere la Lega (allora astro nascente della politica italiana) sul proprio campo.

Eppure il ruolo giocato da Grillo (e Casaleggio) all'interno del Movimento 5 stelle è molto diverso rispetto a quello giocato da Berlusconi all'interno di Forza Italia prima e del Pdl poi. E probabilmente anche una scarsa comprensione del Berlusconismo, nonostante siano passati quasi venti anni, rende ancora più difficile comprendere cosa sia il Movimento 5 stelle.

Berlusconi scese in campo presentandosi come il salvatore, “l'unto dal signore”. E lo fece mettendosi in gioco in prima persona, sfruttando tutta la propria forza economica e mediatica per diventare presidente del consiglio.

Il discorso di Grillo invece è diverso: sfruttare tutta la propria forza mediatica per lanciare un movimento nel quale non è candidato; fare da cassa di risonanza alle istanze (alcune condivisibilissime, altre da combattere con tutte le forze) proposte dal Movimento 5 stelle.

Per un certo verso, e in maniera non del tutto compiuta, Grillo è l'anti-Berlusconi: si propone di far superare al paese venti anni in cui si votavano gli uomini (tanto più potenti erano, meglio era) e non le idee. E lo fa candidando perfetti sconosciuti, selezionati dal basso (anche se il metodo delle “parlamentarie” forse è ancora meno efficiente, dal punto di vista della democrazia diretta, rispetto a quello delle primarie).

Certo, come il Cavaliere, gioca con la propria immagine, ma lo fa per lanciare un movimento, non sé stesso. Come il Cavaliere gioca con il revisionismo, ma lo fa in maniera non molto diversa rispetto a quanto ha fatto il Partito democratico nel corso degli ultimi venti anni.

Non è il nuovo Berlusconi, è il suo antagonista naturale; in grado di rovesciare contro il Cavaliere le sue stesse armi.

Pd e 5 stelle si alleeranno?

La azzardo: probabilmente sì. Conviene a tutti e due.

I due blocchi, 5 stelle e Pd, raccolgono coloro che in Italia auspicano una politica realmente socialdemocratica, anche se in alcuni casi si dichiarano di destra. Non è un caso se nel loro programma elettorale entrambe le forze politiche si rivolgono molto spesso alle piccole e medie imprese.

Èdifficile ipotizzare che uno dei due blocchi socialdemocratici raccolga, in una nuova competizione elettorale, molto più di quanto abbia fatto registrare nell'ultima tornata.

La“nuova destra” quella berlusconiana ha tenuto, la “vecchia”quella di Monti, Fini e Casini, non è scomparsa per un pelo.

Certo, il Pd potrebbe allearsi con Monti. Ma così facendo sancirebbe la propria scomparsa, lasciando il campo socialdemocratico completamente nelle mani dei 5 stelle.

Bersani lo ha capito; Renzi, il quale pensa che i 5 stelle siano esclusivamente un mix di internet e protesta, no.

La grande assente

In questo contesto la grande assente è la sinistra rivoluzionaria, persa ancora nel dibattito “rappresentanza sì, rappresentanza no!”.

Eppure, come dimostrano i movimenti sociali degli ultimi anni, questa è ancora forte in Italia

Probabilmente è questo il momento di dimostrare tutta la propria forza. Forse la nostra non è l'epoca dell'assalto al palazzo d'inverno; le rivoluzioni contemporanee, Venezuela in testa, sono lì a indicarci un'altra strada. Sapremo percorrerla?

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