martedì 30 ottobre 2012

Primo, gli operai, le puttane e il Pci


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Per lo storico Marc Bloch “ogni generazione ha il diritto di narrare per prima la storia degli eventi di cui è stata partecipe.” Primo Moroni è stato partecipe e fine osservatore di una stagione di lotte durata oltre un ventennio.

Nato da un famiglia toscana emigrata in Lombardia negli anni '30, alla fine degli anni '50 è cuoco, cameriere, ballerino. Per sua stessa ammissione in quel periodo si reputa di "poca cultura", ma molto curioso.

Ascolta voracemente i discorsi degli intellettuali che frequentano i ristoranti in cui lavora, legge molto. Gli piacciono il cinema e il teatro. Considera il ristorante un luogo privilegiato da cui osservare il mondo. Lavora in posti dove si siedono industriali e puttane, operai e teatranti, manovali e intellettuali.

E' iscritto al Pci, ma è un comunista anomalo.

A “La vita di Klim Samgin” di Gorkij, che in quegli anni il Partito presenta come l’Opera socialista per eccellenza, preferisce Steinbeck, Hemingway, Faulkner, Dos Passos, Sartre.

Si definisce stalinista, ma l’accezione che dà a questo termine è molto diversa da quella con la quale viene inteso attualmente. Per lui “stalinista" è sinonimo di “rivoluzionario”.

Quello che racconta Moroni è importante per comprendere quegli anni.

Non narra semplicemente la sua esperienza, cerca di interpretare gli eventi che ha vissuto. E pur restando convintamente di parte, la sua analisi non pecca di una critica che sovente diviene anche aspra.

Bloch e Moroni ovviamente non si sono mai incontrati, ma c’è da pensare che lo storico avesse in mente persone molto simili a lui mentre scriveva a proposito del diritto di ciascuna generazione di narrare per prima la propria storia.

Moroni nei giorni del luglio '62 era lì, in piazza Statuto a Torino.

La sua analisi dei fatti però, parte dai primi anni sessanta. Attraversa quanto avviene nel Partito comunista e descrive i rapporti che si instaurano tra vecchi e nuovi operai.

“Cominciammo a vedere le sezioni che si popolavano di burocrati. Ovviamente erano più colti di noi, perché venivano dalle cellule bancarie o da quelle delle assicurazioni” – racconta Moroni a Cesare Bermani in un’autobiografia atipica, narrata oralmente.

“Questi – prosegue - diventarono rapidamente segretari di Sezione, perché erano più sgamati e più favoriti anche per il loro modo di esprimersi”. E’ in quella fase che, secondo Moroni, vengono emarginati (o si auto-emarginano) moltissimi quadri di estrazione operaia. “Il loro linguaggio – dice - era quello di un partito operaio comunista stalinista e si trovavano invece di fronte questi impiegati delle cellule di assicurazione e delle banche che usavano un linguaggio corrispondente alle trasformazioni del boom economico alle porte e che mistificavano tutte le categorie.”

Le sezioni del partito, racconta, smettono di essere il luogo in cui la vecchia
generazione di operai trasmette conoscenze, tradizioni e cultura di classe ai
più giovani.

E’ una rottura storica secondo Moroni, il momento in cui il Partito comunista smette di essere un’organizzazione di classe.

Questo però, non impedisce che quelle conoscenze vengano tramandate. A cambiare sono i luoghi dove ciò avviene.

Luogo di trasmissione è ora la fabbrica.

“L’idea della rivoluzione e del cambiamento globale venne trasferita dai vecchi operai sotto forma di memoria all’operaio-massa emergente nelle grandi fabbriche” - racconta Moroni.

Ma anche le grandi fabbriche del Nord sono cambiate, al loro interno è diversa l’organizzazione della produzione e si sono riempite di immigrati. Gli stessi che protestavano in quei giorni di luglio del ’62 accanto a gente del Nord.

“Dopo la seconda grande immigrazione dal Sud al Nord – racconta Moroni - la classe operaia fu meno razzista della borghesia, perché i meridionali dimostrarono di sapere lavorare in fabbrica. All’inizio c’erano degli sfottò, ma quando dimostrarono di essere in grado di impadronirsi della fabbrica, del suo funzionamento, vennero stimati come operai e gli venne trasferito dai vecchi militanti gran parte dell’immaginario collettivo leninista rivoluzionario.”

E’ in fabbrica, suoi luoghi di lavoro che secondo Moroni si creano legami stretti, fiducia reciproca e si diffonde una cultura unitaria. Elementi che si noteranno nei giorni di piazza Statuto. E sarà la prima volta che ciò avviene fuori dai luoghi di lavoro.

In piazza Statuto oltre agli operai della Fiat ci sono sì “decoratori, falegnami, muratori, tessili”, ma la loro coscienza, la loro cultura, è la stessa: quella che gli è stata trasmessa dai vecchi operai del Nord sui luoghi di lavoro.

“L’operaio-massa – dice ancora Moroni - aveva caratteristiche diverse dai vecchi operai, ma c’è stato lo stesso un interscambio fortissimo. [...] Gli operai emigrati alla fine degli anni Cinquanta hanno ricevuto l’immaginario e la cultura politica precedente, altrimenti tra l’altro non si spiegherebbero gli slogan dell’Autunno Caldo Sessantanove [...]. La complessa cultura politica degli anni Cinquanta non era annullabile con una semplice operazione di vertice. Quegli operai comunisti, sebbene emarginati nel Partito, trasmettevano memoria.”

Parla di operaio-massa Moroni, e lo fa distinguendolo dai “vecchi operai”. Non è un caso.

Vuol dire che ha fatto proprie le teorie operaiste, cioè quelle di quegli studiosi che per primi teorizzarono la nascita di un nuovo soggetto sociale e cercarono di spiegare le ragioni per cui era nato e le prospettive che ciò apriva.

Ma nel parlare di operaio-massa Moroni non fa una cesura netta, anzi ne sottolinea gli stretti legami con gli operai specializzati. Legami che sono culturali, di tradizioni e di sapere.

E’ un’interpretazione importante, perché molto diversa da quella che molti (ma non tutti) operisti daranno in seguito, quando cercheranno di descrivere quel nuovo soggetto sociale, e le organizzazione alle quali darà vita, come estranee, al di fuori, della storia e delle tradizioni del movimento operaio.

E oggi? Dove si trasmette il sapere di classe? Quale soggetto ha preso il posto dell'operaio massa?

Forse un salto alla Calusca aiuterebbe a comprenderlo, anche se non c'è più Primo...

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